La scuola statale e la scuola “privata”

Home / La scuola statale e la scuola “privata” - Febbraio 15, 2021 , by luigiala

di Luigi Ala e Annarita Balcerini*

Parlare di scuola “pubblica” e scuola “privata” è stato per un ventennio, quello passato, un modo per “schierarsi politicamente”: chi era con la scuola statale era di Sinistra, chi era per la scuola paritaria era di Destra. Quindi parlare di questi aspetti del sistema formativo italiano era solo un modo per schierarsi politicamente e bisognava farlo in modo ideologico!

Noi vorremmo provare a ragionare di questo particolare aspetto della formazione italiana senza ideologia e senza essere schierati. Ognuno di noi è un cittadino votante, ma lo è per sé.

Chiarito questo aspetto diciamo subito che entrambi gli schieramenti politici (centro-sinistra e centro-destra) che si sono confrontati hanno usato la scuola come mezzo per brandire la propria bandiera ideologica. E’ venuto tanto bene che, per anni, abbiamo assistito ai dibattiti televisivi parlare di scuola da gente che di scuola non sapeva nulla, inclusi i ministri che nel tempo si sono succeduti. Si sono distinte in questo, come abbiamo spiegato in un altro articolo, le ministre della destra; quelli della sinistra sono stati invece quasi degli ectoplasmi, inconcludenti, inappropriati.

Il sistema scolastico italiano è formato in gran parte dalla Scuola di Stato, a nostro avviso una buona scuola, nonostante le insufficienti risorse che ad essa sono destinate. Spesso si paragona la scuola italiana a quella estera, a parte il fatto che non sono così distanti, rilevazioni OCSE alla mano (spesso chi parla utilizzando questi dati o non gli ha letti o se l’ha fatto lo fa in modo canagliesco), ma si dimentica però di confrontare per esempio quanto lo stato italiano spende per investimenti sulla scuola e quanto, per esempio, spende la Norvegia. E quanti soldi invece vanno via in questi due Paesi per i politici e grandi dirigenti di aziende pubbliche. Se facessero questo tipo di confronti si scoprirebbe che la scuola italiana è un’ottima scuola, così invece non si può dire della nostra classe dirigente.

Tranne poi scoprire, come recentemente è stato, che la scuola pubblica italiana è la migliore al mondo per la riduzione del gap formativo che offre sia ad alunni che provengono da famiglia benestante sia a quelli meno abbienti.

In Italia le famiglie spesso credono fermamente che se vogliono dare al proprio figlio una istruzione di qualità l’unica strada sia rivolgersi al settore privato, e per questo chi iscrive i figli in questi istituti chiede a gran voce poi contributi dalle Regioni e dallo Stato per pagare le rette, motivando la richiesta con una specie di “necessità” a iscrivere i figli a scuole non pubbliche per garantire loro una formazione competitiva e articolata. É davvero così? A guardare i risultati delle scuole private, o più correttamente “paritarie”, ai test OCSE (questi test misurano le competenze fondamentali dei quindicenni europei. Sono gli unici test ritenuti validi a livello internazionale, perché basati sul programma Pisa (Programme for International Student Assessment), riconosciuto in tutto il mondo. Vengono svolti in 57 nazioni europee e corretti e valutati da commissioni indipendenti. I test quantificano la competenza degli alunni in diverse discipline, ma si concentrano soprattutto sulla capacità di comprendere i testi, sulle abilità di calcolo e matematiche e sulle capacità di ragionamento scientifico) verrebbe da pensare che iscrivere un figlio a una scuola non pubblica, in Italia, è sostanzialmente un’inutile perdita di denaro. L’Italia nella classifica generale non è messa bene: rispetto ai coetanei di altri paesi europei, i nostri ragazzi si dimostrano ancora debolucci, anche se in leggero miglioramento, rispetto agli anni passati. Ma se si vanno ad analizzare i dati scorporandoli e quindi analizzando in maniera differenziata i dati provenienti dalle varie aree geografiche e dai diversi tipi di scuola, il panorama che ne esce smantella parecchi luoghi comuni. E soprattutto se si separano i risultati delle scuole paritarie da quelle statili, la tanto vituperata scuola pubblica, se confrontata con quella analoga europea, ne esce in maniera più che dignitosa: infatti i ragazzi italiani che frequentano la scuola pubblica hanno conoscenze matematiche e scientifiche di poco inferiori a quelle dei coetanei europei più “bravi” (attenzione, però, stiamo confrontando anche scuole di nazioni che investono quasi il doppio dell’Italia nell’istruzione), e sono in pratica pari alla media europea nella comprensione del testo. Quello che fa precipitare l’Italia verso il fondo della classifica sono invece proprio i risultati delle scuole private, i cui alunni hanno conoscenze matematiche e scientifiche abbastanza carenti e notevoli difficoltà nella comprensione del testo. Alcuni economisti che hanno ulteriormente analizzato i dati, hanno dimostrato che le scuole finanziate dallo Stato (cioè le paritarie) sono quelle i cui alunni hanno i risultati peggiori in assoluto. Insomma, nel panorama forse non esaltante dell’istruzione italiana, la scuola pubblica, soprattutto al Nord, riesce a sfornare alunni che hanno competenze pari a quelle dei coetanei europei, e quindi un domani potranno essere competitivi sul mercato internazionale del lavoro; mentre la scuola privata, soprattutto il comparto delle paritarie che ricevono fondi pubblici, prepara gli alunni in modo carente e ben al di sotto degli standard dell’istruzione media. Il settore privato, infatti, vanta sicuramente alcuni istituti di “eccellenza”, ma il grosso delle scuole, in realtà, non dà alcuna garanzia di preparazione migliore.

Secondo la nostra modesta opinione ciascuno deve scegliere la scuola che ritiene più adatta ai propri figli, osservando attentamente la qualità della formazione e la spendibilità sul territorio del titolo acquisito. L’istruzione, come l’educazione, sono troppo importanti per passare in second’ordine o peggio.

Sul territorio possono coesistere entrambe le realtà, ma, per ambedue (scuola statale e scuola paritaria) i criteri di valutazione e di reclutamento del corpo docenti devono essere gli stessi, senza favoritismi o altro. Lo stesso dicasi per gli alunni: meritano un percorso formativo identico sia nella scuola pubblica che in quella parificata, senza giustificazioni che possono sembrare una beffa, quali, ad esempio, “… pago una retta dunque devo essere promosso!”

Ci chiediamo: si parla di metodo per misurare la qualità della scuola pubblica, ma quando parleremo di metodo per misurare la scuola privata? Prendono soldi e nessuno verifica i loro risultati? Come avviene in altri paesi?

Togliamo i soldi a quelle scuole che non lo meritano, togliamo i soldi a quelle scuole in cui sul territorio ci sono già scuole pubbliche, togliamo i soldi alle scuole dei ricchi (se uno è ricco se la può pagare), consentiamo di detrarre le rette dalle tasse (per coloro che le tasse le pagano, gli evasori le evadono e qundi non dovranno detrarre nulla), assumiamo gli insegnanti di quelle scuole (private) che svolgono davvero un servizio pubblico.

Facciamo due esempi concreti.

In un piccolo paese di 4 mila abitanti esiste una scuola primaria e una scuola secondaria di primo grado pubblica, ma non esiste una scuola dell’infanzia. Ce n’è invece una privata. Essa svolge un servizio pubblico? E’ una buona scuola? I bambini sono ben seguiti? Allora quelle maestre dovrebbe essere assunte dallo Stato (almeno con contratto a Tempo Determinato) proprio in virtù di quell’ottimo servizio che rendono.

In una città di 100.00 abitanti, dove ci sono scuole pubbliche del primo e secondo ciclo. Se ci sono scuole private (i diplomifici), a quelle non deve essere versato neppure un euro, perché non svolgono un servizio pubblico, ma semmai svolgono un disservizio, poiché permetteono a dei giovanotti benestanti, ma con poca indole a studiare, a giungere comunque ad un diploma che li pone in vantaggi rispetto ai loro coetanei che hanno dovuto “sudare” in una scuola pubblica.

*La prof.ssa Annarita Balcerini è docente presso IC Franchi di Brescia